di Giacomo Mazzocchi

Non capita tutti i giorni che una qualsiasi contesa di calcio termini con i contendenti, ed i loro sostenitori, che si abbracciano, si scambiano complimenti, si applaudano reciprocamente. Si può dire che questo non accade mai. Nel migliore dei casi, si ignorano. Ritualmente, nelle contese più ad alto livello, uno degli allenatori, quello che ha vinto, uscendo dal campo stringe la mano all’avversario e se è un vecchio amico lo abbraccia. Il più delle volte, anzi, più la partita è stata sul filo del rasoio e più l’uscita dal campo avviene all’insegna delle contestazioni verso tutti e tutto e si rischia la rissa. Figuriamoci abbracciarsi e sorridere!  Quella è roba da rugby, da terzo tempo. Peggio sugli spalti, dove le gendarmerie sono sempre all’erta.

Invece, ieri sera all’Olimpico di Roma si è verificato un autentico edificante miracolo: Lazio e Verona hanno lasciati il campo abbracciati, plaudenti l’un l’altro con la folla dell’Olimpico in delirio. Eppure la Lazio aveva pareggiato 0-0 e aveva perso la grande occasione di sbalzare l’Inter dalla seconda piazza ed accorciare di altri due punti la distanza dalla Juventus. Perché questo prodigio? Perché le due squadre per novanta minuti si erano fronteggiate a viso aperto, alla ricerca del massimo risultato possibile, senza trucchi o sotterfugi tattici. E siccome sono due squadre tecnicamente e tatticamente attrezzate, ne è scaturito un match di altissimo livello tecnico ed agonistico dove alle individuali superiori della Lazio (vedi Luis Alberto, Milinkovic, Immobile) il Verona di Juric rispondeva alla pari, con un’organizzazione di gioco collettivo che ha raggiunto una dimensione quasi perfetta, soprattutto nel pressing e nella capacità di integrazione dei reparti.

Consapevoli della loro elevata prestazione, i giocatori in campo non mollavano né l’ardore (e senza commettere interventi assassini) e la voglia di osare fino all’ultimo secondo di gara. Una partita che, grazie alla regia imparziale e competente dell’arbitro Abisso – incline a lasciare giocare piuttosto che fare la prima donna: un match che non ha mai richiesto l’intervento del Var, uno strumento di fatto fallito poiché è più sofisticamente e sottilmente asservito alle influenze delle grandi squadre. Quasi increduli gli spettatori – accorsi all’Olimpico per la grande giornata della Lazio – ed il pubblico televisivo della novella emittente sportiva DAZN (fortunata ad avere in palinsesto il match) i quali hanno potuto godersi uno spettacolo calcistico spettacolare nonostante l’assenza di reti e, in un certo senso, senza precedenti – almeno in Italia – per sportività agonistica.

Dunque, non è vero che non si possa giocare in Italia un calcio piacevole e redditizio, diverso da quello teso soltanto al risultato. Lo testimonia, innanzi tutto, l’Atalanta seguita a ruota dal Verona di Juric, Cagliari e Parma, quest’ultime addirittura avanti alla Roma ed al Napoli. Per la serie ‘Provinciali alla riscossa’. Il Verona è decisamente in crescita: diverte, vince, aumenta consensi. E’ destinato a replicare il cammino dell’Atalanta. È buffo comunque che, per godersi un po’ di calcio ben fatto, si debba andare a vedere una provinciale o la Lazio di Lotito che provinciale lo è per i mezzi economici messi a disposizione.

I colossi metropolitani continuano a fare incetta di campioni ma la domenica battono la Fiorentina 3-0 grazie a due rigori (da Var….) ed un calcio d’angolo. Comisso protesta ma doveva saperlo quando ha investito i suoi dollari nella Fiorentina. La Juventus va avanti con i gol di Ronaldo, ma svalutati dai tanti calci di rigore. Idem per l’Inter di Lukaku. Insomma, il calcio italiano non procede con i quattrini degli investitori made in China od Usa, ma ancora una volta grazie ad artigiani italiani.

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