di Giacomo Mazzocchi
Trionfo belga Max Verstappen, doppietta giapponese Honda e tonfi Mercedes e Ferrari. Italiani che si rifanno con la piazza d’onore di Pierre Gasly della scuderia italiana Toro Rosso di Faenza (eredi diretti della Minardi) e con il quarto e quinto posto delle due Alfa Romeo Racing di Raikkonen ed Antonio Giovinazzi, quest’ultimo mai così in alto nel suo breve cammino in F1.
Così, a bocce ferme, si possono condensare i sensazionali contenuti del penultimo appuntamento del Mondiale di Formula1, quello di Interlagos in Brasile. Una gara che ha ribaltato in un colpo solo tutti i valori e le gerarchie della F1, denunciando in particolare, in maniera inequivocabile, la crisi della Ferrari. Dopo le sventure di Taranto e Venezia, il patatrac nazionale italiano ha contagiato anche la Formula Uno, sport per modo di dire viste le sue enormi ricadute sulle economie, per precisione sull’industria automobilistica.
La Fiat-FCA Group è un colosso motoristico italo-statunitense mentre la Ferrari, nel gennaio 2016, è stata scorporata dalla FCA fare capo direttamente alla famiglia Agnelli attraverso Exor. Dunque, gestione tecnica, finanziaria ed introiti riguardano interamente il socio Fiat e la Borsa: per questi motivi, Ferrari, espressione della Fiat, non poteva sfuggire alla crisi del sistema Italia.
Sergio Marchionne era sceso in campo personalmente a Maranello vista l’assenza di una managerialità adeguata. Era riuscito in breve a riportare la Rossa al vertice della Formula 1. La sua improvvisa scomparsa ha gettato la Ferrari nel caos, con alti e bassi occasionali. Un disordine, un’anarchia che ad Interlagos ne hanno provocato di tutti i colori. Nonostante la Ferrari continui a mantenere il dominio motoristico e tecnologico in campo automobilistico sportivo.
Nel Gran Premio del Brasile, il caos ha coinvolto tutto e tutti come mai prima: come al solito si è sbagliato nelle qualifiche quando al sempre brillantissimo Charles Leclerc è stata affidata una vettura dotata di nuova “Power Unit” non ammessa. Risultato: penalizzazione che l’ha fatto partire numero 14, niente pole position, niente ciance di duellare con Verstappen per un podio o per i punti necessari a guadagnare il bronzo mondiale.
Ma, ancora una volta, il caos al box comporta un impiccio al momento cruciale, gomma probabilmente montata male che rallenta il tedesco. E nel frattempo Bottas – che con le gomme fresche vuole vincere – si trova davanti a sè Leclerc che ha recuperato ogni posizione sfruttando il non-cambio. Le gomme consunte non gli impediscono di tenere a bada Bottas, e fra i due si instaura un duello entusiasmante. Bottas è più veloce ma la difesa è esaltante: iI pilota della Mercedes spinge la vettura al massimo con il risultato di mandare clamorosamente il motore in fumo.
Al via, mentre Vettel concedeva a Verstappen lo spazio per superarlo e scavalcare Hamilton lanciando la cavalcata vittoriosa del fenomeno della Red Bull, Leclerc dava luogo ad una rimonta epica che al nono giro lo aveva portato a ridosso del gruppo dei migliori. La situazione non era malvagia per la Ferrari: Vettel terzo, non lontano dalla coppia di testa Verstappen – Hamilton, Leclerc che cominciava ad intravedere le orme di Bottas mentre si entrava in zona Pit Stop (Leclerc aveva scelto un solo cambio gomme).
La safety car rimette tutti in fila e Le Clerc si ritrova dietro Vettel in quarta posizione. Ma la vettura del tedesco soffre. Davanti a lui, terzo, la Honda di Gasly alla portata di una Ferrari. Sarebbe saggio che Vettel lasciasse passare il compagno di squadra con gomme fresche e necessità di scuderia di andare a punti. Nessun suggerimento, ordine, arriva però dai box e dunque Leclerc rompe gli indugi ed opera alla grande il sorpasso negato. La risposta infuriata di Vettel è immediata e chiara nel silenzio della cabina di regia. Inevitabile il cozzo e le macerie delle due Ferrari.
Il seguito è tutta un’inutile discussione su chi ha ragione o torto. I giudici hanno decretato il pari. La responsabilità è nel manico, incapace di gestire un team così importante ed impegnativo come la Ferrari di formula Uno. È evidente che, chiusa la stagione 2019, Vettel sarà giustamente giubilato in favore di Leclerc: i due non possono coesistere.
Il problema non è nella rivalità sacrosanta di due campioni. È nel manico. Non deve essere necessariamente un affermato tecnico del settore, ma qualcuno che sappia gestire un team di tecnici. E non necessariamente uno dell’ambiente. Quelli in gamba sono davvero pochi e non si muovono e Sergio Marchionne non era certo un esperto di motori, era un manager vero, in grado di intervenire in ogni situazione. Alla Ferrari in poco tempo è riuscito a fare miracoli pur non disponendo di conoscenze tecniche specifiche. Il bravo manager è colui che è in grado di individuare la bravura altrui, coordinarla, valorizzarla, motivarla e gestirla. Non è a lui che si deve richiedere il lavoro sul terreno tecnico; lui deve valorizzare il lavoro altrui semplicemente e soprattutto senza guardare in faccia a nessuno.
Questo vale in ogni attività umana e dunque anche nello sport: dalla Formula Uno al Calcio.