“Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi.”  Bertolt BrechtMauro Lanzilotto per SportPolitics.it

Dall’estasi alla dannazione in 30 secondi. Quanto possono durare 30 fottutissimi istanti passati i quali l’impresa si trasforma in leggenda?

In un attimo passano davanti al vecchio campione i fotogrammi della sue imprese sportive.

Il vecchio che non si rassegna ad abbracciare nuove e meno enfatiche esperienze capisce, in un secondo, che sta per essere defraudato di un sigillo che non dovrebbe condividere con nessuno al mondo, se non con i suoi amati compagni per i quali è leader e mamma allo stesso tempo.

Ne ha viste nella sua vita di difficoltà e di capovolgimenti di credi inchiodati ai comandamenti immutabili di quella che, in cuor suo, forse pensa essere una scienza esatta.  Ma una cosa del genere l’aveva vista realizzata solo nei suoi sogni di tifoso, prima che di calciatore.  Eppure è lì ad un passo dal realizzarsi. Trenta fottutissimi secondi, magari anche meno.

Il vecchio è come il capitano di un vascello che affronta i mari più impegnativi e tempestosi. Conosce l’arte di navigare meglio di chiunque altro calchi i rettangoli d’erba. Sa come va la vita e come va il mondo e certamente, pur non potendo aspirare al ruolo di intellettuale – se non, a pieno titolo, limitatamente alle anguste stanze dei commentatori sportivi – sa bene che trionfo e disastro sono due impostori da trattare allo stesso modo ma, nella concitazione del momento, scambia l’opportuno per il giusto e si getta lancia in resta verso chi, a suo parere illegittimamente, gli scippa il sigillo ormai quasi saldamente nelle sue mani.

L’impeto è di altri tempi e le parole sono epiche. Gli sgorgano felici in un linguaggio alato che da sempre gli è proprio, dono naturale e ricevuto per via divina (ci sta! parlando di football) ma ampiamente insolito per un seguace di Eupalla. Escono parole e connotazioni retoriche più consoni alla tragedia greca e all’epica degli autori latini, su questioni che un osservatore inconsapevole e marziano potrebbe definire relative ad un semplice gioco.

Ma in realtà non è così. La retorica, anche la più sguaiata, si attaglia perfettamente ad una tenzone che appassiona, affermano gli statistici, due miliardi di persone.

Il mondo si interroga di Trump e Putin con meno passione di quanto si interroga di football. È uno sport che ha natura sorprendentemente trascendente, l’uomo della strada e il dirigente d’azienda soffrono allo stesso modo e in maniera fideistica per una maglia e per dei colori in cui si riconoscono.  Passano insieme ore a discettare, con la medesima competenza, di trame di gioco, dell’occupazione perimetrale degli spazi, dei moduli tattici esibendo know-how invidiabili, garantiti da ore e ore di visione, analisi e rimuginazione continua di concetti che ognuno di noi fa propri ed esibisce all’agnostico con la sicurezza della verità rilevata.  Siamo spesso più competenti di football che della nostra stessa professione.

Se nella fede l’uomo comune appaga le sue angosce esistenziali affidandosi alle certezze di una vita migliore a futura memoria, nel football la trascendenza è ora e subito, è felicità scomposta, è amore sconfinato per chi condivide le tue passioni e capisce con uno sguardo il tuo sentimento.  Le analogie sono, pertanto, vere solo in parte: il tifoso vuole tutto e subito e non aspettare stancamente il redderationem.

La componente epica si giustifica ancor di più se si vede il football sotto il profilo della sublimazione delle rivalità antiche e mai sopite.  L’homo homini lupus si sviluppa sconsideratamente sui campi d’erba in una lotta che alla clava ha sostituito la palla. A livello paesano sostituisce gli odi municipali, a livello continentale le guerre per la dominazione e il controllo del territorio.

Una vittoria agli europei o ai mondiali di football dà al vincitore gloria imperitura, gli annette un blasone che porta con sé per quattro lunghi anni. Per quattro lunghi anni è il dominatore d’Europa o del Mondo, non c’è vittoria in guerra o in ambito economico che possa scalfire tale privilegio.

Il vecchio campione lo sa, gli passa davanti in un attimo tutta la sua vita di player, la sua reputazione, l’ultima possibilità di dire la sua nella competizione più ambita, quella che la sua squadra ha sempre sfiorato senza mai riuscire a godere dell’orgasmo di gran lunga più desiderato: il sollevamento della Coppa, tu novello Polifemo con il mondo intero in ginocchio avanti a te.

E non è neanche solo quello.  E forse ancora qualcosa di più.  Un sigillo unico da apporre ad una carriera irripetibile.  L’impresa eroica e leggendaria in quanto unica. Mai un’equipe prima di allora aveva osato tanto: sconfiggere così nettamente i campioni in carica a casa loro e portarli ad un supplemento di match.

Non era neanche importante vincerla alla fine e il vecchio lo sa.  In un raro momento di lucidità lo esterna al mondo, per spiegare il suo odio profondo verso l’uomo con la giacchetta nera, colui che illecitamente lo retrocede da eroe a comprimario.

Ci saranno altre occasioni per il vecchio per far riconoscere la sua valenza. Ha un eloquio da politico navigato, lephisiquedurole, la compagna mediaticamente giusta, una torma di tifosi ai suoi piedi, e non solo della sua squadra del cuore. Insomma, ha tutto per vestire i panni dell’eroe moderno, una roba terribilmente e magnificamente spendibile in un Paese così straordinariamente anormale come il nostro.

Mauro Lanzilotto

P.S.: L’autore è dichiaratamente tifoso della Juventus

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