Giacomo Mazzocchi per SportPolitics.it

Un astruso paradosso se si pensa solo alla sconfitta azzurrra 38-14 di Glasgow

Invece paradosso non è: ci sono serie ragioni per gioire su come l’Italia del rugby sia  uscita dallo scontro rugbystico con il paese celtico.

L’evento Sei Nazioni  Rugby, infatti, è il confronto fra i Sei Paese Europei di maggior spessore rugbystico: quattro rappresentative delle Isole Britanniche –Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda Nord e Sud– e due europee continentali, Francia ed Italia.

Le Sei Nazioni  scendono in campo per stabilire la supremazia  non solo al livello assoluto della Nazionale maschile, ma anche con le rappresentative femminile e Under 20 maschile.

E dunque, nello scorso week end la Nazionale capitanata da Sergio Parisse ha malamente perso per 38-14. In compenso, però, sia la U20 azzurra  che la Nazionale italiana in  rosa  sono riusciti  a superare (in Galles) le loro controparti celtiche rispettivamente (e con pieno merito) per 18-7 e 22-15.

Non era mai successo prima. Due risultati storici che dimostrano che, a dispetto delle negative prestazioni della Nazionale A, il rugby italiano cresce.

La crescita della Nazionale Italiana Ovale delle donne è da rapportarsi con la crescita di tutto lo sport italiano al femminile , testimoniato, ancora una volta, dalle medaglie ottenute dalle azzurre ai Giochi Olimpici Invernali  coreani e anche il rugby al femminile rientra in  questo trend di avanguardia.

Anche se sembrano ragionamenti capziosi tesi ad addolcire le continue pillole amare che è costretta ad ingerire la nazionale maggiore di rugby, alla fine quello che importa sono le fortune della Nazionale maggiore e tutto ciò che ad essa può giovare come il rugby rosa e quello giovanile.

Quanto all’immediato, il rugby italiano è da anni impegnato nello sforzo di chiudere il gap che lo separa dal Rugby composto dalle cinque nazioni europee e dagli squadroni dell’Emisfero Australe (Nuova Zelanda, Australia, Sud Africa, Argentina).

Il problema è che l’Italia –grazie al suo ingresso nel Sei Nazioni e alla partecipazione nella Celtic League (Guinnes Pro 14’)-  è in continua crescita. Ma anche gli altri paesi  maggiori crescono, sicchè alla fine è difficile assottigliare il divario. Anzi, c’è il pericolo che la fretta sia cattiva consigliera.

Occorrono molte energie unite a competenza, dedizione ed anche fantasia e il CT  irlandese Conor O’Shea sembra possedere tutti questi requisiti. Il suo lavoro – assieme a quello delle due “Nazionali” permanenti che sono Benetton e  Zebre – ha permesso di realizzare un rosa azzurra adeguata e competitiva sul piano internazionale sia da punto di vista tecnico che fisico. Ma fin dalle prime uscite stagionali  era apparso ancora deficitario il livello medio di  forza caratteriale (capacità di superarsi) e 0’Shea è riuscito ad individuare i giocatori che riescono a trovare energie fisiche e mentali anche quando sono terminate (“ci mettono la faccia”, “grattano il loro barile”).

Ma non  basta: poi si deve imparare a difendere, e quando hai imparato a farlo, occorre sapere anche attaccare.

L’Italia, in queste quattro partite del Sei Nazioni, ha mostrato di essere riuscita  a venire a capo dei primi tre problemi.  Contro il Galles ha, quindi, tentato di imporre la propria personalità  presentandosi registrata sul piano fisico, tecnico e difensivo.

Non è stata però in grado ancora di prodursi positivamente nelle fasi offensive. L’evidente piano di gioco era quello  di riproporsi offensivamente in qualsiasi circostanza. Un piano coraggioso  che prescindeva dalle capacità tecniche e tattiche in possesso (e sperimentate coralmente) di tutti i giocatori.

A Cardiff l’Italia ha cercato di fare di più di quello che era in grado di fare.  Approfittando di alcune importanti assenze  fra le fila gallesi, si è assicurata con tranquillità la prevalenza delle rimesse laterali e ha controllato a lungo il possesso dell’ovale e del territorio avversario.

Ha cercato di frastornare gli avversari giocando alla mano ogni pallone recuperato ma, ahimè,  commettendo inammissibili svarioni nelle fasi (troppo affrettate) di trasmissione. In altre parole, al sesto minuto del primo tempo l’Italia era sotto di 14-0 grazie a due autentici regali offerti ali avversari.

Successivamente, dopo la bellissima segnatura dell’ottimo estremo azzurro Minotti, sul 7-14 il Capitano Parisse  ha preferito non piazzare una punizione facile per il 10-14 optando per un calcio in touche foriero di un’eventuale segnatura di meta: da un sicuro 10-14 si è finiti al 17-7 (è arrivato invece il piazzato del Galles..).

Nel mondo rugbystico, la mossa  audace di Parisse sta a significare “io sono più forte di te”, “rinunzio ai 3 punti del calcio perché voglio metterti sotto realizzando 7 punti con una meta”. Un atteggiamento arrogante  però importante sul piano psicologico, un atteggiamento che voleva dimostrare che l’Italia si sentiva  più forte del Galles.

Dal punto di vista mentale l’atteggiamento  espresso da Parisse e dell’Italia di O’Shea è quello giusto per le grandi imprese. Nel rugby, come nella vita, se non si osa non si va lontano: l’importante è non osare troppo e a vanvera come è successo in occasione di tutti e 38 punti realizzati dal Galles, che ha portato a casa una vittoria che non meritava.

Per l’Italia  -anche tenuto conto della sfortunata gara conclusiva del 6 Nazioni 2018 contro la Scozia all’Olimpico di Roma- una lezione che è sicuramente stata salutare e digerita.

Giacomo Mazzocchi

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