Chi governa davvero il mondo?

“Non è più lo Stato sovrano l’unico centro di potere. Ne esiste un altro: la concentrazione dei capitali privati (Chomsky). Questo fenomeno produce l’esistenza di un’èlite privata che dirige multinazionali, banche, Università e media, orientando fortemente il sistema economico mondiale attraverso legami confidenziali. Questa èlite, proveniente sostanzialmente dal settore finanziario, domina il processo di globalizzazione e controlla molti governi attraverso il potere economico delle multinazionali. (…) 50 società globali rappresentano il cuore dell’economia mondiale. Abbiamo quindi individuato 65 persone, sconosciute ai più ma che probabilmente sono proprio quelle in grado di influenzare i destini del mondo”.

E’ circostanziato il lavoro di ricerca operato da Galli e Caligiuri in questo bel libro edito da Rubettino.

La politica che diventa subalterna alla finanza, ancora prima che all’industria, anche per i limiti imposti dall’ambito nazionale in cui opera a differenza della finanza che opera su scala globale. Se Karl Popper ammoniva che il tema centrale della convivenza umana è “come controllare chi comanda” il problema potrebbe spostarsi sullo stabilire se “qualcuno sarà ancora disposto a obbedire” (Azzolini).

Questo soprattutto perchè, come rappresentato da un rapporto del 2016 dell’OXFAM, l’Agenzia Internazionale contro la fame e la povertà, l’1% più ricco della popolazione mondiale possiede più risorse del restante 99%. Ecco il nocciolo della questione: il divario tra i pochi che detengono la ricchezza e i tanti che faticano –il capitalismo “sbilanciato” della globalizzazione– ha portato ad un corto circuito che sta provocando la reazione di coloro che non riescono a raggiungere una qualità di vita dignitosa. E’ proprio questo uno dei problemi irrisolti, anzi acuiti, dal capitalismo della globalizzazione, la forbice troppo ampia tra ricchezza prodotta e distribuzione della stessa. Le elite economiche dettano le proprie regole alla politica e queste regole non favoriscono il bene comune ma interessi particolari.

Galli e Caligiuri intendono appunto dimostrarlo (dimostrano?): le persone che influenzano le sorti del pianeta non sono le classi politiche, contro le quali si indirizza la protesta degli ‘esclusi dalla ricchezza, dalla dignità’, ma i manager delle multinazionali che operano nel mercato globale.

L’idea di “riperiodizzare” la teoria del XX secolo serve agli autori per ricongiungersi alle conclusioni di Rothkopf: “Uno dei fenomeni più rilevanti dell’era globale è la conquista da parte di alcune grandi società di ruoli economici e sociali che rivaleggiano e talvolta superano quello degli Stati”. Infatti le prime 250 società del mondo hanno fatturato un terzo del pil globale, superiore a quello degli Stati Uniti e dell’Unione europea (…) Le decisioni di quei pochi che dirigono le grandi aziende influenzano circa le metà delle persone che sulla terra ha un lavoro cioè circa quattro miliardi di persone (…) Il genere umano ha compiuto enormi progressi nel corso dei secoli ma simili disparità -un migliaio di miliardari ha un peso doppio dei 2,5 miliardi di poveri del pianeta stimati ndr- continuano ad essere una tragedia della nostra civiltà e, a mio avviso, ne minano la stabilità”.

Le elite che governano le multinazionali sono riuscite a condizionare il principio stesso della democrazia -la rappresentatività di un popolo attraverso libere elezioni- occupando “militarmente” spazi che dovrebbero essere invece della politica. Ed ora comandano il mondo.

Lo studio degli autori (particolarmente focalizzato nella prima parte sulla genesi del capitalismo negli Stati Uniti attraverso lo studio del sociologo statunitense Mills dalle cui teorie sulle famiglie del capitalismo Usa il lavoro prende corpo) riprende, corregge, relativizza teorie già esistenti (Phillip, Streeck e soprattutto Rothkopf senza dimenticare Michels e le sua “Ferrea legge dell’oligarchia” e citando studi italiani come quello di Laura Gherardi) per dare una propria chiave di lettura sui meccanismi, gli uomini che ‘comandano il mondo’.

A supporto di questa tesi gli autori affermano che “I Ceo sono il nerbo della superclass (e) la rilevante presenza nei settori tecnologicamente più avanzati di Paesi senza cultura e tradizione di democrazia rappresentativa (In India i nuovi milionari coesistono col vecchio sistema delle caste e del femminicidio come fenomeno di massa) potrebbe comportare difficoltà proprio mentre la stessa democrazia viene svuotata in Occidente dalle multinazionali e dalle loro pratiche. (…)

La soluzione? per gli autori non esiste, a meno che non diventi centrale la questione pedagogica: “Non è compito dell’istruzione pubblica fornire gli anticorpi per sopravvivere alla disinformazione devastante, che è il problema più grave della società contemporanea? Non spetta all’educazione rendere reale la democrazia formando delle èlite pubbliche affidabili? E può essere l’Intelligence (degli Stati ndr) uno strumento educativo per il XXI secolo aiutando a selezionare le informazioni rilevanti per avvicinarsi alla comprensione della realta?”

Dodici appendici su Società, Aziende, Enti, Istituzioni, Università complete di Nomi e Cognomi, che secondo gli autori governano il mondo, completano lo studio insieme ad una robusta bibliografia.

 

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