I toni presenti nelle dichiarazioni di Paolo Barelli, Deputato e Presidente della Federnuoto, anche se istituzionali, sono stati chiari: ”Bene i primi interventi ma sport di base rimane a rischio. Il mio pensiero va al dopo virus e non vorrei trovare gli impianti sportivi chiusi perché falliti – non solo le piscine – a causa della crisi Coronavirus”. Sono parole forti che non vengono stemperate quando parla di ‘risorse dirette’ e ‘robusti interventi di sostegno’: come dire che le somme stanziate sono ancora poche.

Poi la carezzina al Ministro Spadafora e a suoi consiglieri quando afferma di essere certo che abbia fatto tutto il possibile per quel mondo che ben rappresenta nel Governo (carezzina necessaria a che il primo importante acconto sia completato…)

Dunque, baci e abbracci? Le misure per il sostegno dello Sport di base contenute nel decreto CuraItalia parlano un’altra lingua, quella di due provvedimenti quantomeno discutibili.

Primo la sospensione fino al 30 maggio dei canoni dovuti dai concessionari di impianti sportivi pubblici – o meglio, territoriali – da pagarsi il 30 giugno in un’unica soluzione (o in 5 rate a partire da giugno). Ma le attività sono chiuse per legge e non incasseranno (chissà per quanto tempo, aggiungiamo) e allora perché non la cancellazione del canone? In questo modo, oltre al danno, si aggiunge la beffa del finto aiuto e così tante associazioni rischiano di non farcela. A Roma, territorio nel quale torneremo a breve, le opposizioni hanno già affilato le armi.

Infatti, la Presidente della commissione Sport della Città metropolitana di Roma Capitale e consigliere di Roma Capitale Svetlana Celli afferma che le disposizioni dell’ultimo decreto legge non sono sufficienti a sostenere un settore che in particolare a Roma rischia di essere colpito duramente. Serve un vero e proprio ‘Rinascimento Sportivo’ da realizzare attraverso una serie di provvedimenti shock che comprendono la cancellazione del canone almeno fino a quando (appunto, quando?) l’attività non sarà ripresa completamente.

Secondo l’indennità destinata ai collaboratori delle associazioni con uno stanziamento di 50 ml di euro: l’indennità è fissata in 600 euro ma non è chiaro se sia una tantum o rinnovabile. È una somma importante anche perché finalmente da dignità legislativa ad una categoria che continua ad essere trascurata anche dai mezzi di informazioni: gli operatori sportivi. Eppure, ed è questa la prima preoccupazione, gli operatori delle palestre, degli impianti, delle piscine, ma anche delle federazioni degli enti di promozione sportiva, sono tanti. Centinaia di migliaia sparsi per tutta Italia: sarà sufficiente lo stanziamento previsto?

Suscita perplessità che la gestione di questo provvedimento sia lasciata a Sport e Salute, la società per azioni voluta dal precedente governo che dovrebbe emanare le istruzioni operative entro il 2 aprile. Ed allora, forza burocrati (e vogliamo sperare che Sport e Salute abbia le risorse umane), le persone non possono aspettare! Ancora. Cosa significa che le domande saranno trattate in ordine cronologico di ricevimento? Chi prima arriva meglio alloggia? Avremo una grande corsa appena saranno pubblicate le istruzioni? Non vogliamo crederlo e ci aspettiamo che sia chiarito oltre ogni ragionevole dubbio. Tutto il settore sportivo si augura che questa tragica circostanza che ha colpito tutta l’Italia la sua gente, i suoi territori, la sua economia possa portare ad una vera riforma del sistema sportivo. Per questo abbiamo ritenuto importanti le dichiarazioni di Paolo Barelli e Svetlana Celli: ai provvedimenti urgenti devono seguire interventi strutturali.

Certo, leggendo la Relazione tecnica di accompagnamento al decreto, ed essendo questo un atto governativo, si rimane perplessi (per non dire altro) sull’approssimazione riservata alla lunga disamina della quantità e qualità degli impianti sportivi italiani a fondamento dell’articolo 95 (quello sulla sospensione dei canoni).

Si parla del totale degli impianti che “secondo le rilevazioni CONI e ICS (Istituto per il Credito Sportivo) sono circa (?) 76.000”. E poi: “Non è definibile un rapporto attendibile tra infrastrutture pubbliche e private (e perché?) ma se dovessimo indicare una proporzione tra impianti pubblici e privati CI ORIENTEREMMO su 2/3 pubblici e 1/3 privati.

Quest’ultimo dato è tratto da una ricerca del CNEL del 2003, diciassette anni or sono.

L’articolo conclude, dati alla mano (?) che il costo medio del canone di concessione di un impianto di media grandezza (?) (pubblico, privato?) è di 4.000 euro mensili. Addirittura, al redattore della relazione (svelando implicitamente l’intervento di una manina faziosa) “appare utile ricordare” (A chi? Perché?) che la città di Roma, che possiede il più grande numero di impianti sportivi in funzione, percepisce circa 100,000 euro di canone. Scritta così non si capisce (o non si vuole far capire): se la somma fosse cento euro gli zeri dopo la virgola sarebbero due. Se la somma fosse centomila euro ci dovrebbe essere il punto dopo il numero cento più altri tre zeri; poi la virgola e altri due zeri. L’errore è palese in entrambi i casi in quanto (come riportato nel bilancio di Roma Capitale) l’incasso percepito dal comune di Roma dalle concessioni è di circa 1.900.000,00 all’anno (si, avete letto bene, un milione e novecentomila euro). Poco più, poco meno.

Il commento tecnico all’art. 95, dopo questa denigratoria rappresentazione della realtà romana, si conclude con l’affermazione che la disposizione dell’articolo non ha rilievo contabile trattandosi di sospensione di pagamenti.

Alla faccia del decreto governativo.

Se questi sono i ‘tecnici’ che hanno realizzato il decreto Cura Italia non c’è da stare tranquilli..

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