di Giacomo Mazzocchi

La conferenza stampa congiunta di Andrea Agnelli e Massimiliano Allegri ha ufficializzato quanto era da tempo chiaro a (quasi) tutti.

Una separazione soft, in puro stile bianconero, e tanto di accordo economico multimilionario per l’allenatore il cui contratto da 8 milioni annui scade a giugno del prossimo anno.

E’ emerso chiaramente nell’incontro con i media che Andrea Agnelli aveva dovuto cedere alle insistenze della Direzione tecnica della squadra, ovvero il Direttore Fabio Paratici ed il Vice Presidente Pavel Nedvev.

Per il Presidente,  il tecnico livornese,  anche se vincente  solo in Italia, avrebbe potuto continuare tranquillamente a pilotare la squadra. Per i responsabili tecnici il fallimento in Champions era l’evidenza dell’incapacità del tecnico livornese di essere al passo con i tempi. Insomma, i problemi europei della Juventus non erano  di scarsità di materiale umano, ma di gioco.

Un concetto chiaro a pochissimi in Italia ma deflagrato in ogni dove di fronte all’evidenza dell’eliminazione dello squadrone bianconero da parte dell’Ajax, una banda di ragazzini  trasformati in formazione stellare dal moderno allenatore olandese Erik Ten Hag, allievo di Guardiola. Al contrario, nelle parole e nei fatti (in campo) Allegri  continuava a sostenere la sua idea che ‘l’importante non è giocare bene ma vincere’ appoggiandosi alle sue vittorie tutte italiane (4 Campionati, 4 Coppe Italia) con l’aggiunta  di 2 Supercoppe vacanziere di scarso valore.

Allegri, con lo scudetto già cucito sulla maglia molti mesi prima del tempo, ha tentato di spacciare questi pallidi  successi come frutto della propria  filosofia di gioco a fronte della realtà di giocatori con cui poter allestire tre squadre e stravincere altrettanti scudetti. Ma il traguardo vero era la conquista della Champions League e non già di  un titolo di Serie B come, purtroppo, è diventato il massimo campionato italiano.

Per difendere questa visione  – condivisa da tanti juventini e da tanti media al  seguito dei vincitori – Allegri ha preso a sostenere l’assunto  che ‘Non importa giocare bene, importa solo vincere’. Ovvero, come dire giocare male è meglio. Un controsenso  che non è solo dialettico.

Un controsenso  che ha trovato la simpatia del Presidente Agnelli ma non dei  responsabili bianconeri Fabio Paratici e, soprattutto , Pavel Nedvev,  convinti che giocare bene aiuti non soltanto a vincere ma ad essere più  forte anche della malasorte. E soprattutto a far divertire il pubblico attirato dallo spettacolo che i campioni possono fornire.

L’Ajax  di Ten Hag, il Manchester di Guardiola, il Tottenham di Pochettino non praticano tutti lo stesso modello di  gioco. Ciascuno ha sviluppato un proprio stile. Ma tutti giocano bene, vincono e, soprattutto,  divertono.

Il bel gioco viene meglio se a praticarlo sono dei campioni. O no?

E’ questo tipo di squadra  cui la  Juventus mira. Un football che non mortifichi una gloria mondiale come Ronaldo. A Torino è stato deciso di allestire una Juventus di formato veramente Europeo. Compito non impossibile date le basi tecniche di partenza e qualche ritocco: manca soltanto il tecnico giusto!

L’indennizzo milionario –  che ad Allegri renderà meno sofferto il divorzio – è un chiaro segnale che Andrea Agnelli (superato il sincero dispiacere per la separazione del  suo allenatore  preferito) non baderà a spese: è difficile rifiutare le offerte di una società nobilissima come la Juventus.

Lo stile juventino rende impossibile qualunque anticipazione sul successore di Allegri. Potrà essere tanto un tecnico  celebrato quanto un talento emergente: la competenza e la intelligenza della dirigenza bianconera è fuori discussione.

Ciò mette fuori gioco ogni  cavallo di ritorno come Conte o tecnici bravi  e celebrati ma superati:

tanto varrebbe tenersi Allegri!

Sarri ancora non l’hanno capito  a Londra e qualcuno che se ne intende – ed ha stima per Nevdev  – ha due nomi  in testa:  lo juventino Gian Piero Gasperini, guru dell’Atalanta, e l’olandese dell’Ajax Erik Ten Hag.

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