La Roma ha compiuto una impresa su cui pochi avrebbero scommesso: battere almeno 3-0 il grande Barcellona e conquistarsi la semifinale di Champions

Giacomo Mazzocchi per SportPolitics.it

“La miglior difesa è l’attacco”, una ”legge” che tutti a parole condividono ma poi sul campo spesso viene disattesa. Per ragioni strategiche o psicologiche. O entrambe.

Nella quasi totalità dei casi, quando si vince all’andata per 4-1 e tre reti di margine, la rimonta non avviene. I fattori 1) cedere l’iniziativa all’avversario 2) fare melina 3) attuare turn over nel maggior numero di casi hanno successo.

Talvolta, però, può diventare Harakiri. Come è il caso  di ieri sera all’Olimpico di Roma, come lo fu all’andata al Camp Neu di Barcellona.

Eh si, perché all’andata il largo successo degli spagnoli era maturato non su una netta superiorità come direbbe il punteggio ma in virtù di due autoreti iniziali. Dicasi due autoreti! Qualcosa che nella storia calcistica ai massimi livelli non era mai accaduta.

Tuttavia, l’impresa  della Roma – ben guidata (questa volta!) da Eusebio Di Francesco e superbamente interpretata da 3 giallorossi sopra le righe (De Rossi, Manolas e Dzeko – non si sarebbe potuta realizzare  contro  il Barcellona che il mondo ha conosciuto fino a questa stagione.

Quella squadra castellana non avrebbe attuato alcuna tattica attendistica. Avrebbe tranquillamente messo in scena il suo gioco magistrale fatto di pressing a  tutto campo e tiki-taka nel possesso palla e preparatorio alle segnature di Messi, Suarez, Iniesta e Neymar. Il raggiungimento delle semifinali non sarebbe stato un problema.

Invece, il 10 aprile 2018 propone una situazione del tutto diversa rispetto ad un solo anno prima (qualcuno non associa il quadro  sportivo a quello socio-politico-economico).

In realtà il calcio – quale attività umana che affonda le proprie radici nel tessuto più profondo della società – può essere considerato un vero e proprio indicatore della salute  di un Paese.

Per farla breve, la crisi  peggiore  vissuta dall’Italia da quando è diventata Stato unitaria è sfociata nel gradino più basso conseguita dall’Italia del calcio : eliminazione meritata dalla Coppa del Mondo, dove gli azzurri vantano la bellezza di 4 titoli iridati.

La Spagna sta vivendo in questo momento la sua più grave crisi sociale della storia moderna: il conflitto mai sopito fra  Monarchici e Repubblicani, fra Potere Centrale (Castiglia, Madrid, Re, franchismo, destra) e periferia ( Catalogna, Barcellona, autonomia, Puidgemont, Comunismo, sinistra) sta provocando una crisi economica senza precedenti. La Catalogna (Lombardia spagnola) registra la chiusura (o la fuga verso lidi migliori)  di molte aziende, con il Governo (votato) dei Separatisti in esilio.

Travolto dall’eterno conflitto iberico (Guelfi e Ghibellini) il calcio spagnolo, specialmente a Barcellona, non poteva rimanere una isola felice.

I dirigenti del club blugrana hanno cercato di mantenere uno status elevato nella propria rosa ma non sono stai registrati nuovi arrivi di alto livello. Si sono mantenuti i giocatori storici (Messi, Suarez, Iniesta) -ma si tratta di atleti stagionati- mentre il giocatore più importante e giovane, Neymar, è stato messo a l’asta e ceduto ai francesi del Paris Saint Germain con un ricavo netto per il Barcellona della cifra record di 222 milioni di Euro (e stipendio annuo di 36,8 milioni di Euro).

Il Barcellona, dunque, non è più “Il Barcellona”, ma sempre uno squadrone ragguardevole che Di Francesco ha affrontato con il cipiglio con il quale per cinque anni ha guidato il Sassuolo. Finalmente si è visto il pressing e Messi non ha toccato palla.

La Roma ha gestito il gioco puntando sulle torri Dzeko e Schik, la formidabile regia a tutto campo di Daniele de Rossi, le scorribande sulle fascie di Kolarov e Laurenzi e in difesa sulla foga gladiatoria e fisicità di Manolas e Fazio.

Proprio come la Juventus, la faccenda reti era delegata ai cross ed al gioco aereo con l’impiego dei lunghi, una vera batteria: Dzeko, Schick, Fazio, Manolas, De Rossi.

Un gioco molto semplice, all’antica, che però si adattava molto bene ad un progetto offensivo: così sono arrivate le tre reti, frutto degli arieti Dzeko e Manolas e dei falli difensivi del Barcellona (penalty realizzato da De Rossi).

Dunque, encomio solenne per tutti in casa giallorossa: dal tecnico che ha progettato una la squadra con una  precisa ed azzeccata strategia/modulo basata su una perfetta conoscenza delle mosse e della entità dell’avversario (azzeccati e tempestivi i cambi) a tutti i giocatori scesi in campo.

Non altrettanto si può dire del tecnico iberico Luis Valverde che ha collaborato non poco alla sconfitta della proprio quando, ancora con 15 minuti da giocare e qualificazione in tasca, ha richiamato in panchina Iniesta, impareggiabile pilota della squadra, lasciandola senza guida.

Ora la Roma è fra le prime quattro squadre d’Europa, si ritrova terza in classifica -anche se lontana da Napoli e Juventus- alla pari con Lazio e alla vigilia del derby: è tempo di decidere cosa vuol fare da grande. La storica vittoria della Champions potrebbe essere alla sua portata se decide di puntare a questo risultato piuttosto che mantenere i due piedi in staffe che non si conciliano, Champions e Campionato (dove al massimo può arrivare terza!).

Eviti di seguire l’esempio della Juventus che  cercando troppe staffe, inevitabilmente finisce per vincere solo in Italia!

L’inno di Mameli era nell’aria ieri notte all’Olimpico, proprio come domenica nel Bahrein con la Ferrari ancora sul podio più alto per la seconda volta consecutiva o come in queste ultime settimane nella Moto GP di Ducati-Dovizioso, nella  Milano-Sanremo con Vincenzo Nibali , o ai Giochi invernali con le 10 medaglie di azzurri ed azzurre.

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