Su List -il fatto, l’analisi, l’impatto e l’agenda di Mario Sechi di cui SportPolitics.it è sostenitore, Lorenzo Castellani ha scritto dello spettacolo di Beppe Grillo Insomnia a cui ha assistito a Roma. Proponiamo la sua recensione ai nostri affezionati lettori insieme al consiglio di sperimentare NewsList, uno dei più interessanti siti di analisi politica nazionale e internazionale.

Lorenzo Castellani, fabrianese, classe 1989, si occupa di Politica, diritto, storia e giornalismo ed è stato Visiting Researcher al King’s College London. E’ direttore editoriale de La Cosa Blu e consigliere d’amministrazione della Fondazione FareFuturo e scrive saltuariamente per Il Foglio. Di seguito il suo articolo comparso su NewsList di domenica 25 marzo.

Ho visto l’Insomnia di Grillo e si sta svegli – Uno spettacolo d’elité, soltanto un centinaio di spettatori, un letto, un uomo in pigiama, la scena è lui stesso, il corpo di Grillo. Lorenzo Castellani a teatro da Beppe racconta le intuizioni e le visioni del fondatore del Movimento 5Stelle.

C’è molta spocchia in giro quando si parla di Beppe Grillo. Raccontato come una meteora, errore della storia, capo assoluto di una setta di sottoproletariato provinciale, il leader pentastellato è la figura più banalizzata di sempre dall’informazione e dall’accademia italiana. Grandi sforzi sono stati profusi dai quotidiani nell’indagare i conti della Casaleggio & Associati, le falle del sistema Rousseau con cui i parlamentari si interfacciano con gli iscritti, le mancate restituzioni dei rimborsi elettorali. Si sono molto applicati nel cercare le stranezze nelle idee e nei gusti grillini, nell’effettuare screening dei curriculum poveri degli eletti a 5 stelle, nel considerare la mancanza di titoli e congiuntivi come una deminutio politica invece che come il segno dei cambiamenti della democrazia. Notevole l’impegno del commentatore-collettivo nel descrivere sarcasticamente il comico e la sua banda, sempre più folta, di eletti minus habens, ma ben pochi sono stati gli esercizi di comprensione del cambiamento storico.

Nulla si è fatto, inoltre, per analizzare il personaggio Beppe Grillo dal punto di vista biografico, storico, psicologico ed intellettuale. Molti si sono esercitati, senza metter piede fuori dalle aule universitarie o tirando su la testa dal computer, nell’analizzare le distribuzioni di voto dai partiti tradizionali verso il Movimento 5 Stelle, come se la politica fosse riducibile a statistica; pochi si sono camuffati in piazza per ascoltare discorsi, cogliere reazioni, carpire i messaggi dell’epopea grillina svolgendo un esercizio di studio della politica applicata, sul campo, che va poco di moda nel Paese dei formalismi; pochissimi hanno provato a fornire una spiegazioni del successo pentastellato che non fosse quella dell’anti-politica becera o della risposta di pancia alla crisi economica.

Come studioso della storia e della politica, che ha sempre prestato attenzione alla vicenda del Movimento 5 Stelle, ho sentito montare l’insoddisfazione nel leggere le analisi su quello che è il più grande partito populista d’Europa. Sarà che vengo da una cittadina un tempo ricchissima, oggi devastata dalla crisi industriale e diventata grillina, Fabriano, o che ho visto amici e coetanei trasformarsi in elettori a 5 stelle, ma le spiegazioni salottiere non convincevano né appagavano la mia curiosità. Per questo motivo, dopo anni di presenza sotto traccia ai comizi e scorpacciate di video su YouTube dei vecchi spettacoli del comico genovese, ho scelto di compiere un passo ulteriore e presenziare in terza fila all’ultimo spettacolo di Grillo tenutosi al teatro Flaiano di Roma il 24 marzo, giorno in cui il Movimento 5 Stelle conquistava la terza carica dello Stato eleggendo Roberto Fico come Presidente della Camera.

Siamo stati abituati a immaginare Grillo attorniato da migliaia di persone, in piazza con le folle o nei palasport con fiumana di spettatori, ma Insomnia, l’ultimo tour, è affare per pochi intimi. Uno spettacolo d’élite. Infatti soltanto un centinaio di spettatori riempiono il minuscolo teatro situato in una parallela di Corso Vittorio Emanuele II, pieno centro della Capitale. L’ambiente è tipicamente romano: giornalisti di tutte le televisioni affollano l’ingresso e tra luci soffuse e jazz di sottofondo si fanno largo parlamentari, attori, look radical-chic, personaggi eccentrici, strane montature di occhiali, abbronzature dal sapore di vacanza caraibica, attivisti grillini della prima ora. Il comico inizia puntuale, entra di lato, scambia battute col pubblico come in una conversazione domestica, veste pigiama e vestaglia, alza il sipario e c’è solo un letto, un proiettore, una poltrona. La scena è lui stesso, il corpo di Grillo.

Lo showman si racconta: l’estrazione popolare, il “quartieraccio”  di Genova in cui è venuto su, il rapporto solido con un padre forte e anziano, l’amicizia con il futuro serial killer Donato Bilancia, il porto che inglobava la città, e in cui si rubacchiavano merci che provenivano da tutto il mondo, la guerra tra bande da adolescenti, la violenza e le puttane. Nella prosa di Grillo c’è l’eco della Genova intellettuale degli anni Sessanta e Settanta, dei suoi amici Fabrizio De André, Gino Paoli, Renzo Piano, Luigi Tenco e l’influsso dell’immenso Paolo Villaggio. Musicisti, artisti, attori con cui il leader del Movimento 5 Stelle è cresciuto e che hanno condizionato la sua storia come quella della cultura italiana. Un’impronta intellettuale che Grillo non ha mai perduto.

Quest’onda lunga comincia dal linguaggio, Beppe, dalle parole morte della vecchia politica, lessico burocratico che ha compresso le emozioni. Dai media tradizionali che riportano il mantra della politica politicante e che il comico genovese ha voluto sempre delegittimare. Il primo obiettivo politico di Grillo, ben prima dell’antipolitica che ne è soltanto la conseguenza, è stato quello di smascherare ipocrisie, connivenze e inaffidabilità dell’informazione per costruire verità e modernità alternative.

Chi vuole capire il messaggio meta politico del teatrante deve iniziare da qui. Dall’intemerata contro gli economisti che calcolano ma non vivono, disegnano modelli ma non frequentano i luoghi della produzione, contro i politici che non danno voce alle emozioni, al secondo cervello situato nello stomaco, nelle viscere che il racconto di Grillo mira a far contorcere.

L’irrazionalità come viatico per la riscossa, il riconoscimento del fallimento, il cigno nero, come condizione esistenziale. I vincenti in una società liberale sono pochi, mentre quasi tutti sostengono il fardello del fallimento. Questo Grillo lo sa perché ci è passato più volte anche lui sul solco del tracollo. Ed è una musica che conquista l’orecchio di generazioni di laureati che saltano da uno stage all’altro, di partite IVA che si arrabattano come possono, di precari che sentono il fiato sul collo del fallimento e della disoccupazione. Lanciato nel paradosso, il comico elogia il pessimismo come difesa dalle avversità perché gli ottimisti, nella vita come in politica, prima o poi si schiantano mentre i pessimisti sopravvivono. Perché il loro istinto è più forte.

C’è poi il grande problema del lavoro. Grillo ha capito cosa rischia di accadere nei prossimi anni e cioè che in un Paese scarsamente preparato all’innovazione dirompente, la robotica e la dematerializzazione creino un’ondata ancora più ampia di malcontento e disoccupazione. Che il reddito non cresca, che si debba lavorare 15 ore al giorno, con tre lavori, e comunque rischiare di non farcela. È la grande frattura: una minoranza del Paese si muove nell’alto girone dell’internazionalizzazione, tutto il resto nel basso girone dei territori e mestieri tagliati fuori dallo sviluppo. Gli insider della globalizzazione da un lato, gli outsider dall’altro. I suoi predecessori politici hanno promesso welfare e successo a tutti: hanno fallito. Una laurea oggi è quasi sempre più una illusione che una garanzia. Fonte di incertezze più che di soddisfazione, di anni di discontinuità e basso reddito. Per chi vota il laureato deluso e disilluso?

Sembra un anti-moderno, Grillo, eppure non rinnega la tecnologia perché è uomo post-ideologico: i problemi non si rifiutano, ma si risolvono. Come? Con il reddito di cittadinanza ed investendo in formazione. Qui il comico si fa politico: sostenere che vada tutto bene è la strada per l’abisso, perché ogni robot sostituirà il lavoro di sei persone, le infrastrutture si evolveranno rapidamente e senza stare al passo si resterà fuori dalle rotte del commercio, l’internet delle cose cambierà la nostra organizzazione domestica e aziendale, l’automazione si impossesserà del quotidiano. Senza direzione politica l’uomo disorientato perderà la bussola. Grillo fornisce le sue risposte: spostare risorse dalle vecchia industria a quella nuova, adottare la blockchain per guadagnare velocità e disintermediazione, investire in alta tecnologia ed eco-sostenibilità, aiutare le persone con fondi pubblici diretti.

Grillo si fa, poi, più inedito ed interessante quando propone di ridurre drasticamente la spesa sociale, liberarsi di cassa integrazione e pensioni, per sostituirli con investimenti infrastrutturali, buoni sanità e reddito universale. Opinabile, pure molto, la sua versione sul futuro. Però, almeno, ne possiede una.

Due ospiti regolano le pause: c’è uno psichiatra infantile del Gemelli che racconta le frontiere degli studi sul comportamento e l’educazione infantile in un mondo in cui la distanza genitori-figli si amplia sempre di più e c’è il fisico esperto di blockchain e bitcoin che racconta al teatro funzionamento e prospettive delle tecnologie. Nel mezzo i passaggi comici di Grillo, la vita quotidiana con i figli, lo sberleffo del veganesimo, il rapporto amoroso con il suo viziatissimo cane di razza Yorkshire.

Entrano nel suo discorso finale le influenze intellettuali dell’antropologo Noel Yuval Harari, autore del best seller Homo Deus che tratta di evoluzione e tecnologia, e del geografo politico Parag Khanna, che ha scritto Connectography e la Rinascita della città-stato. Di questi ultimi il comico genovese afferra la teoria della scomposizione della sovranità, cavalca la necessità di decentralizzare lo Stato nazione, di connettere sempre di più grandi hub e metropoli urbane, d’inserire il Paese all’interno delle supply chain mondiali. Grandi poli in cui si aggregano competenze, intelligenze, risorse e dove l’immigrazione, che va rigorosamente controllata e regolata, può generare grandi risultati, profitti e cultura. Come piace all’elettore di sinistra, ma senza scontentare la destra. Passaggio magistrale.

Il federalismo è una grande idea, dichiara, mentre è disteso sul palco, ed in Italia è rimasto l’ultimo a dirlo. Se la prende con i dazi di Trump e Xi perché non potranno fermare il grande commercio mondiale: Amazon è una realtà ineluttabile così come la distruzione creatrice del capitalismo iper-tech. Dobbiamo andare verso una grande economia di servizi, sostiene. Ed in questo passaggio Grillo è tutto meno che anti-establishment, altro che decrescita felice.

Sviluppa visioni asiatiche, grandi metropoli supertecnologiche, smart-cities ambientaliste, democrazie che viaggiano sui chip di silicio. È un tecno-populista che vuole  fare incontrare democrazia diretta e competenze. Mettere insieme, come dice lui, un governo con inventori, imprenditori, tecnologi, designer e, per forza, anche qualche politico. D’altronde, ammette con massicce dosi di realismo, quando ha iniziato il suo era l’unico movimento e gli altri tutti i partiti, mentre oggi sono tutti movimenti e l’unico vero partito è il suo. Fine dell’intermezzo politicista.

L’onirico Grillo riparte tra Singapore e la Svizzera, tra la tecnocrazia partecipata asiatica e la responsabile democrazia dirette elvetica. È la ricerca dell’utopia per cui si invocano Tommaso Moro e Campanella, anche se alla memoria del lettore il comico fa sovvenire anche la Nuova Atlantide di Bacone, impero della scienza e della tecnica.

È il futuro che vede Grillo: ingarbugliato, intrecciato, a tratti abissale e spaventoso a tratti ricco di opportunità, ipermoderno e anti-moderno, irrazionale e creativo, matematico e standardizzato, semplicissimo oppure terribilmente complicato. C’è dentro tutto, il contrario di tutto. Non c’è soluzione, ma soltanto impulso. O forse c’è un progetto, ma sembra puro istinto. Siamo pur sempre a teatro e, in fondo, va bene così perché questa è la missione di un comico. Ed è, in parte, anche quella del politico.

Ciò che è certo è che non esiste il Grillo ad una sola dimensione, come dipinto dai giornali. Quello che è scritto indelebilmente nella storia d’Italia è che quest’uomo da oltre dieci anni cerca di buttare giù a spallate il sistema politico italiano e il suo côté mediatico. E sembra continuare, muro dopo muro, a riuscirci. Con buona pace di chi vuole illudersi, ancora, che si tratti soltanto di un buffone seguito dal popolo minuto.

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